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La Vienna di András Pálffy

La parete divisoria tra il Belvedere e il convento delle Salesiane non ha perso nulla del suo incanto di quando ero bambino. Se all'inizio, per me, questa parete apparentemente interminabile, smisurata rispetto al grazioso e proporzionato giardino barocco del Belvedere, era la quintessenza della monumentalità, nel corso degli anni è diventata la rappresentazione della mia passione per le superfici astratte. Come una sforbiciata urbana, il suo profilo sembra circondare la topografia plastica delle mura, che si configura come la storia di un intervento architettonico tra i due edifici contigui.
Anche se si compone degli elementi di due complessi molto differenti tra loro, tutta la struttura appare come un corpo unico e a sé stante rispetto a ciò che gli sta attorno. La struttura della parete è stata oggetto di numerose trasformazioni, in conformità con una prassi consolidata nel centro storico di Vienna, un motivo valido per farla diventare il leitinotiv della mia passeggiata in città.
Nella raffigurazione di Canaletto del Giardino del Belvedere, questa parete non ha solo un ruolo fondamentale nel contesto dell'immagine, ma viene sottolineata e messa in risalto ulteriormente dall'autore con una pennellata bianca. Per ironia della sorte, è proprio questa prospettiva, con la sua evidente rottura nel campo visivo, a fissare i termini dell'orizzonte che, fino a oggi, ogni nuova costruzione viennese non può superare in altezza. Da qui lo sguardo abbraccia il Glacis, un antico distretto militare profondo 378 metri, antistante le mura della città. Anche se un tempo su quest'area era vietato edificare, la sua posizione e il suo spazio la fecero diventare oggetto di numerosi piani per l'ampliamento urbano di Vienna.
Quello approvato nel 1859 fu scelto tra la rosa delle proposte presentate a un concorso. Verrà realizzato tra il 1860 e il 1914 e interessa un'area di 300 ettari, di cui il 21 per cento edificabile, il 50,5 per cento pensato per i collegamenti per il trasporto, il 18,7 per cento destinato alle aree verdi e il 9,6 per cento al corpo idrico. Sulla scia dell'ampliamento urbano nell'area dell'ex Glacis sono sorte 90 strade e piazze, lungo le quali sono state previsti 500 nuovi edifici, la cui configurazione è stata definita chiaramente da un quadro normativo. Elemento centrale del nuovo complesso urbano è il Ring, destinato a diventare il perno della città. La strada collega il centro antico ai sobborghi, rispettando sia i tessuti preesistenti sia i nuovi ordini di simmetrie, simmetrie parziali, assi centrali e laterali; ovviamente, si integra in modo omogeneo al quadro urbano precedente l'intervento, trasformandolo in un elemento unitario su una scala più grande. In questo processo è stato di fondamentale importanza che gli antichi q uartieri non venissero distrutti, bensì ricollegati l'uno all'altro ponderando gli spazi topografici esistenti.
Il Ring può essere considerato anche un quadro di riferimento, nel quale stabilire le posizioni e i pesi dei nuovi edifici pubblici. Nel passaggio al Modernismo, lungo il viale sono nati edifici di una tipologia completamente nuova, rivestiti da un'architettura storicizzante: non soltanto stazioni, grand hotel, musei e banche, ma anche il Parlamento. Dal Ring, il nostro itinerario ci conduce al nucleo storico della città e quindi in Josefsplatz, con le sue facciate che risalgono al periodo tra il 1721 e il 1767 e che conferiscono alla piazza un'uniformità che si è inclini a pensare si respiri anche negli interni che si celano dietro di esse. Anche qui, però, una piccola breccia schiude un mondo del tutto diverso, immediatamente oltre questa superficie: la gotica Chiesa d i Sant'Agostino. Superato lo stretto ingresso, si apre una navata lunga 43 metri che, all'epoca di Giuseppe II, fu liberata dai numerosi orpelli barocchi e restituita al suo aspetto originario.
Successivamente, nella navata laterale venne costruita un'appendice che ospita il monumento funebre all'arciduchessa Maria Cristina, opera di Antonio Canova. La facciata della Josefsplatz nasconde anche uno dei più sontuosi edifici barocchi di Vienna: la sfarzosa Biblioteca nazionale di Fischer von Erlach.
Da qui ci addentriamo nella Residenza imperiale, direttamente nella Corte svizzera, il nucleo storico del complesso; in tutte le fasi del suo sviluppo, è sempre stata circondata da facciate unitarie, che indicano una sequenza regolare degli spazi all'interno degli edifici. Se dal cortile si aprono le porte verso la Sàulenstiege, ci si ritrova davanti un'imponente scalinata, che all'epoca di Maria Teresa fu introdotta nella struttura architettonica come elemento di contrasto. Nei pressi di questo complesso troviamo anche altre scalinate di rappresentanza, degne di essere osservate e per lo più accessibili al pubblico.
Passeggiando nell'Hofburg, quando si è sotto la Porta di San Michele lo sguardo cade sulla Looshaus, un edificio della Vienna modernista che va senz'altro ricondotto alla nuova coscienza borghese che tanta influenza ha avuto soprattutto sulla storia del Ring. Fu commissionato da Leopold Goldmann ad Adolf Loos nel 1909 e divenne oggetto di un'annosa polemica, di cui ha fatto le spese soprattutto il suo architetto. La scelta di costruirla proprio di fronte all'Hofburg è la perfetta rappresentazione del cambiamento sociale nei confronti della monarchia. Una visita al suo interno è decisamente raccomandabile, poiché non solo consente di farsi un'idea eccellente del dominio dello spazio da parte di Loos, ma mostra anche la grande competenza dell'architetto su materiale, luce, riflessi e specchi. Come nota a margine di questa visita segnalo lo studio di Leopold Goldmann, da cui, attraverso un sapiente gioco di specchi, egli poteva sempre osservare i visitatori senza essere visto a sua volta. Questo spazio di lavoro gli consentiva allo stesso tempo controllo e privacy: poteva lasciarlo non appena scorgeva un cliente importante. Rientrando nel tessuto urbano dopo la visita a questo edificio, risulta quasi incredibile pensare che questi splendidi spazi siano stati ricostruiti quasi completamente, perché gli interni originari erano andati distrutti.
Alcuni passi più in là, in direzione del Kohlmarkt, troviamo la sede della casa editrice Artaria, progettata dall'architetto sloveno Max Fabiani e costruita tra il 1900 e il 1902. È interessante notare la data di costruzione: sorge dieci anni prima della Looshaus che assimilerà, modificandoli, diversi elementi dell'architettura di Fabiani. Fu quest'ultimo ad aiutare Loos a ottenere il suo primo incarico per il progetto del Café Museum; da allora diventarono amici, fatto che spiega le analogie tra i due edifici. Nella sede dell'Artaria c'è un elemento costruttivo apparentemente marginale, ma essenziale. Fabiani applicò alla sua architettura la teoria del rivestimento di Gottfried Semper, rendendo visibile, anche se solo in alcuni punti, il fatto di aver rivestito l'edificio collegando le lastre di pietra alla struttura portante con bulloni di bronzo e rendendo così evidente la distinzione tra involucro e struttura. Quattro anni più tardi, Otto Wagner riprenderà questo metodo di rafforzamento della copertura di un edificio nel suo progetto della Cassa di Risparmio Postale.
La sede dell'Artaria stimola numerose riflessioni che parlano dell'avvento del Modermismo. Volgendole le spalle, però, ci ritroviamo di fronte al negozio di candele Retti progettato da Hans Hollein, una piccola, eccellente opera che esprime, nella grigia Vienna del Dopoguerra, un grande messaggio architettonico e rappresenta un momento essenziale dell'avvento del Postmoderno.
Camminando in direzione di Judenplatz, vale la pena di volgere lo sguardo all'indietro, verso il centro, per ammirare 1'Hochhaus, il 'grattacielo' che svetta fra i tetti della Herrengasse, costruito nel 1932 da Theiss e Jaksch. Attiguo alla Looshaus, grazie alle terrazze dall'effetto a scala la cima dell'edificio non è visibile dalle immediate vicinanze. Dal vano scala vetrato all'ultimo piano si può ammirare il panorama del nucleo storico, di cui l'edificio è al centro.
In Judenplatz incontriamo la migliore scultura contemporanea della città. Nel suo memoriale dell'Olocausto, Rachel Whiteread riproduce la biblioteca di un appartamento di Judenplatz che, slegata dal suo contesto privato ed esposta nello spazio pubblico, postula indirettamente la domanda di cosa ne sia stato del suo antico proprietario ebreo.
Vicino a Judenplatz troviamo la Zacherlhaus, costruita tra il 1903 e il 1905 su progetto dell'architetto sloveno Josef PleZnik, tra gli esponenti principali dell'inizio del Movimento Moderno viennese. In netto contrasto con la raffinata struttura della sua facciata che, nonostante sia realizzata in pietra viva, esprime leggerezza. La facciata quasi monocromatica della vicina torre, costruita da Kornhàusel, si trova qualche strada più avanti, in Fleischmarkt.
All'epoca del Biedermeier, Kornhàusel firmò numerose costruzioni eleganti della città, tra cui la sinagoga, nelle immediate vicinanze della torre. Se le facciate dei suoi edifici erano caratterizzate da un'impostazione molto controllata, quasi classicista, la torre, con la sua facciata senza rilievi e chiusa crea un inatteso contrasto.
Tra il 1825 e il 1827, Kornhàusel realizzò questa torre a nove piani che utilizzò come abitazione e studio. Oggi l'edificio si pone in forte contrasto con quelli attigui, creando un effetto simile alla parete nel complesso del giardino del Belvedere.
A breve distanza dalla Kornhàuselturm, troviamo il quartiere che si sviluppa intorno a Schónlaterngasse, Blutgasse e Bàckerstrasse. In questo tessuto urbano appare più tangibile la struttura architettonica medievale con le sue numerose sfaccettature. Spiccano due costruzioni: l'Heiligenkreuzerhof e la Jesuitenkirche. È soprattutto la Chiesa dei Gesuiti a meritare una visita: offre infatti un esempio convincente dell'impiego della luce naturale sulle superfici riflettenti.
Per concludere, vanno citati due luoghi che, tra l'altro, nella mia gioventù hanno avuto un ruolo importante nel farmi familiarizzare con l'architettura. Merita una visita a ogni ora del giorno il Kleines Café di Hermann Czech, mentre all'American Bar di Adolf Loos bisogna andarci quando cala la sera. Fate però attenzione: in entrambi questi luoghi il tempo vola.

András Pálffy
András Pálffy

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